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Autore alla ricerca della verità
Marxetto

Reg.: 21 Ott 2002
Messaggi: 3954
Da: Milano (MI)
Inviato: 12-10-2003 22:08  
quote:
In data 2003-10-12 21:56, mallory scrive:
Discutendone all'interno e all'esterno del forum, mi è capitato spesso di imbattermi in afferamazioni del tipo: "la citica non è verità assoluta"; partendo da questa particolare asserzione, potrei prima di tutto insinuare che un approccio di questo tipo al discorso, sia di natura assolutista e non conforme allo scopo che questo thread vuole ottenere, e cioè quello di ricerca di una verità logica e che utopicamente tenda all'assoluto, ma mai assoluta, in quanto, la comunicazione stessa, ne preclude sostanzialmente la possibilità, altrimenti non sarebbe nemmeno necessaria l'espressione artistica, che è primariamente manifestazione e trasmissione di ideologie ed emozioni.



Ottimo,questo è sostanzialmente quello su cui ho voluto(devo dire piuttosto malamente rispetto a te)porre l'accento.Sono assolutamente concorde con queste tue parole.
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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 12-10-2003 22:21  
Mi pare che la frase da te riportata, e che ora rileggo fiera, sia un assioma dal quale dovrebbero partire tutte le opinioni di questo thread, altrimenti si continuerà a fare marcia indietro...

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fassbinder

Reg.: 29 Ago 2003
Messaggi: 1335
Da: reggio emilia (RE)
Inviato: 12-10-2003 23:18  
Innanzi tutto faccio i miei complimenti a Mallory per il thread, davvero bellissimo, e ringrazio tutti coloro i quali hanno citato volumi sulla storia del cinema, che mi affretterò a recuperare e discutere in spazi appositi una volta letti.
Venendo invece alla questione dell’ermeneutica, che mi sta molto a cuore, riporto alcuni passaggi del testo “Esperienza di lettura e produzione di pensiero” di Paolo D’Alessandro, nell’intento di confermare, a livello generale, le tesi di Mallory circa la critica cinematografica all’ interno della storia del Cinema e della sua interpretazione:

[…] L’interprete è così lo “spettatore” dell’ opera, colui per il quale essa di volta in volta si rappresenta. Questi è colui che la “legge” nel tempo, nella considerazione immediata del fatto che il primo suo lettore e interprete è l’autore stesso, assieme ai suoi contemporanei. Così come il gioco, l’opera è caratterizzata infatti dal movimento di ripetizione: si ri-presenta sempre uguale e al tempo stesso diversa, realizzando così, nelle sue molteplici e cangianti rappresentazioni, che sono poi altrettante letture e interpretazioni, un movimento attraverso il quale la sua stessa struttura perviene alla perfezione. Se è vero allora che l’essenza dell’opera d’arte è “rappresentazione per”, essa perverrà a pienezza solo se si fa spettacolo, fruibile e godibile, proprio in quanto leggibile ed interpretabile.[...] L’ermeneutica riabilita così i pregiudizi, con l’esaltazione del momento della pre-comprensione, quale fondazione di condizioni rinnovate per una nuova comprensione, che recuperi autorità e tradizione. La comprensione è sempre, e di necessità, correlata a una pre-comprensione, in quanto noi giudichiamo, avendo in precedenza giudicato; comprende insomma, in certo qual senso, chi ha già compreso. […] La storia è dunque da considerare “storia di effetti”. Ogni fatto, ogni opera, e nel nostro caso ogni opera cinematografica è per l’essenza costituita da una relazione che si stabilisce tra quel che accade, l’evento per così dire “puro”, e le sue interpretazioni. Sia l’uno che l’altro sono da considerare allo stesso titolo e livello delle realtà che strutturano nel loro reciproco rapporto la forma stessa di quel che chiamiamo “oggetto storico”. Ogni dato, che si prospetti di volta in volta alla nostra visione e interpretazione, contiene in sé una”memoria”, intessuta di numerosi, continui e l’un l’altro collegati atti d’intendere, comprensioni e interpretazioni che precedono la nostra. Sono gli “effetti”, le determinazioni e le specificazioni che l’opera è andata acquisendo nel tempo.

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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 13-10-2003 01:07  
Grazie Fassbinder, il passo da te riportato è l'essenza del discorso complesso che stiamo affrontando, e mi richiama alla mente questa frase pronunciata da Godard:

"Qualsiasi cosa poteva essere integrata al film. Per anni si raccolgono mucchi di cose, e poi si finisce, impensabilmente, per metterli in quello che si fa. Mi dicevo: c'è già stato Bresson, adesso c'è Hiroshima , si chiude un certo genere di cinema, forse è finito, mettiamo la parola fine, facciamo vedere che tutto è permesso."

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Daniel


Reg.: 14 Feb 2003
Messaggi: 4301
Da: Nuoro (NU)
Inviato: 13-10-2003 02:16  
Stasera sono sconvolto ... ho appena finito di vedere Questa è la mia vita e abbraccio sempre più l'ipotesi che la cinefilia (quella vera) sia (e non possa essere altrimenti che) il concetto più aggiornato della necrofilia ... ho letto l'esaustivo post di Fassbinder e ne sono rimasto piacevolmente colpito per radicalità e inquietante realtà ... Mi lascio del tempo per riflettere per un qualsiasi tipo di commento ...

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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 13-10-2003 03:13  
Anch'io sono sconvolta stasera, ma per le gastronerie che mi stanno dicendo in messenger, e che spero vivamente siano riportate qui...

Ah Daniel, Vivre sa vie....

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GionUein

Reg.: 20 Mag 2003
Messaggi: 4779
Da: taranto (TA)
Inviato: 13-10-2003 12:57  
Complimenti a tutti per questo post.
Ho dovuto leggere due giorni di scambi in una botta sola ( da me il W/e si va ancora al mare ) e mi duole ancora la testa.
Man mano che leggevo un post prendevo appunti per un eventuale replica ma il messaggio successivo chiariva magicamente i miei dubbi.

Dopo un po di colpi andati a vuoto, il bersaglio è stato definitivamente centrato e sviscerato con competenza e passione.

Mi viene spontaneo ringraziarvi tutti, quasi come nei credit finali di un film.

In definitiva non posso che concordare su quanto espresso da mallory, sulle "distanze" tra critica e pubblico, sul significato della "tecnica cinematografica" e sulla valutazione critica della stessa.

Solo un passaggio non mi convince appieno, e che prenderei come spunto per una domanda;

"... e che quindi il critico deve saper riconoscere e interpretare, esattamente come l'autore avrebbe voluto trasmettere. "

Credo che non sia più esatto dire " come l'autore ha trasmesso ".
Perchè magari il prodotto finale non è proprio quello che l'autore preventivava.
Può essere stato influenzato dal caso, o dalle scelte di un "altro".
Ed è proprio a questo punto vorrei agganciarmi con una domanda:
il film è un esperienza "corale", ma spesso ci si ritrova a commentare ( criticare ) soltanto i meriti/demeriti del regista.

E' vero?
E' falso ?
E' ( sopratutto ) giusto ?

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seanma

Reg.: 07 Nov 2001
Messaggi: 8105
Da: jjjjjjjj (MI)
Inviato: 13-10-2003 15:16  
Tutti quelli che hanno replicato in questo thread mi perdonino sin da subito,poichè ho intenzione di "polemizzare"di nuovo su una posizione (quella di mal)che mi sembra troppo ESCLUSIVA per poter essere condivisa.Aggiungo anche che,dopo aver letto i vostri interventi,mi autoumilio essendo pienamente cosciente dei miei limiti d'argomentazione e conoscenza,ma volendo con tutte le forze ribattere.Ripeto,dunque,mi perdonino le menti eccelse(non è sarvcasmo.. questo)che tanto e bene hanno scritto....ma la conclusione sostanziale del pensiero di mal non mi convimce.Per due motivi:il primo riguarda la forma,l'argomentazione.Volutamente mallory,per effettuare un analisi,ha scelto la figura di Jean Luc Godard,indiscutibilmente uno dei più complessi autori,arrivando poi ad afffermare che c'è un divario incolmabile tra critica e pubblico perchè in sostanza il pubblico non ha le categorie per capire Godard(e chi lo nega questo?);prendendo a pietra di paragone Godard,sfido che si possa affermare una cosa simile!!!a questo si lega il secondo motivo(e si badi bene che io non propugno una mia verità,ma pongo una questione)cioè;io non trovo giusto che il concetto di critica,alla fine di un analisi sulla sua ontologia,arrivi ad asssumere un significato che popolarmente definirei antipatico:dalle parole di mallory viene fuori una visione della critica come una intellettualistica chimera contro(verso)la quale solo pochi e ben armati Bellerofonti possono affrontare:non invece come(e questa è la mia visione)uno strumento accessorio ma allo stesso tempo necessario grazie al quale lo spettatore non distratto riesce a porsi meglio davanti a un opera,non qualcosa di DISTINTO dall'attività passiva dello spettatore(che riesce a devenire attiva solo con certi strumenti).Per questo non mi sento di sminuire la "critica"moderna(Mereghetti,Morandin e altri che sembreranno ridicoli a voi,"hominibus doctis")Sempre qualsiasi critica deve (e lo fa)essere di sostegno a una attività di critica che ultimamente no può che uscire da colui che fruisce l'iopera d'arte,di qualunque arte si tratti.Se io leggo Carducci o chi volete,un introduzione "critica"a ciò che io leggo è indiscutibilmente utile alla miglior fruizione dell'opera.Poi,a partire(o anche a prescindere,dipende da un scelta personale)da questo,io-lettore mi faccio un idea personale su quanto letto/visto.

Riassumendo il tutto con una frase,si potrebbe dire che la critica è strumento(per il dfruitore)e non entità autonoma(staccata quindi da un quotidiano avvenimento di fruizione artistica)

Spero di essere stato chiaro,nonchè ragionevole.
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sono un bugiardo e un ipocrita

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gmgregori

Reg.: 31 Dic 2002
Messaggi: 4790
Da: Milano (MI)
Inviato: 13-10-2003 16:30  
sei stato chiarissimo!
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la bruttura del vuoto è tanto profonda fin quando, cadendo, non ti accorgi di poterti ripigliare. I ganci fanno male, portano ferite, ma correre e faticare per poi giorie è un obbiettivo per cui vale la pena soffrire.
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sara81

Reg.: 11 Set 2003
Messaggi: 159
Da: pistoia (PT)
Inviato: 13-10-2003 16:30  
Anche io sull'argomento vorrei riportare il motivo per il quale penso che la l'arte in generale e quindi anche il cinema non può essere giudicato obbiettivamente e tanto meno considerato come cosa compiuta e quindi definibile.
La mia riflessione è nata leggendo il libro " Letteratura come utopia" di Ingeborg Bachmann, scrittrice "austrica" del novecento e nell'esprimermi faccio riferimento al suo testo del quale condivido pienamente i pensieri.

Per prima cosa bisogna riflettere su che cosa intendiamo per arte in generale.
Secondo me è un ideale che rivediamo e correggiamo a nostro piacimento. Se da un lato si provvede ufficialmente a una tutela di tutto ciò che è artistico, che rende giustizia a tutti, ciò non toglie che a livello non ufficiale si instauri una sorta di terrore che mette a bando per un certo periodo capitoli interi di certe forme d'arte. L'interesse che abbiamo per un determinato modo di fare arte implica automaticamente il rifiuto del resto, e l'arte si mantiene viva proprio per questa ingiustizia, orientandola verso un polo ideale. Ed è pensabile che in un futuro non lontano i nostri idoli, sia i più antichi che i più recenti, vengano di nuovo abbattuti e siano costretti ad uscire di scena per un certo periodo. Ma finchè siamo convinti delle nostre buone ragioni la cosa non ci interessa.....
Ma l'arte è un regno aperto al futuro del quale non conosciamo i confini.
Non è possibile un giudizio obbiettivo ma solo VIVO. Nel corso della nostra vita siamo soliti modificare più volte il nostro giudizio su di un autore. Un'epoca, un autore una cosa o l'altra ci appare paradignmatica e altre invece le riteniamo di intralcio e sentiamo il bisogno di liberarcene mettendole in discussione. Le citiamo in tono di trionfo o di condanna come se le opere d' arte esistessero solo per dimostrare qualcosa ai nostri occhi. Gli alterni successi delle opere oppure i loro insuccessi ci danno indicazioni non tanto sulle opere stesse e sulla loro intima struttura, ma piuttosto sul modo di essere nostro.
Ma la storia di questo nostro modo di essere non è stata ancora scritta da nessuno, mentre si continua a scrivere la storia delle varie arti ( storia del cinema, storia della letteratura....) essendo quest'ultima ordinata secondo principi estetici e critici come fosse un fatto compiuto, pronto a sottoporsi al giudizio unanime dei competenti. Ma l'arte, il cinema come la letteratura e la musica, non sono fatti compiuti. Il territorio è sempre aperto. Se non fosse così l'arte sarebbe un cimitero. E ogni opera sarebbe sostituita o migliorata dall'opera successiva, ogni opera sepolta da quel che viene dopo.

Per tutti questi motivi penso che l'arte continuerà a sfuggire alla critica. Perchè io considero l'arte come utopia, come un ideale. Qualsiasi forma di critica è per me il modo di esprimere un nostro modo di essere, di vedere le cose, non un' assoluta verità.
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La Vita non è un Obbligo, è solo una Breve Opportunità....

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sara81

Reg.: 11 Set 2003
Messaggi: 159
Da: pistoia (PT)
Inviato: 13-10-2003 16:34  
Cmq sono contentissima di aver trovato persone che come me si sono poste queste domande e che hanno cercato una loro risposta che soddisfi le proprie esigenze... Vi ringrazio tutti perchè i vostri pensieri sono stati dei buoni spunti di riflessioni, e penso che questo sia il post più costruttivo e civile al quale abbia fino ad ora partecipato.
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La Vita non è un Obbligo, è solo una Breve Opportunità....

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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 13-10-2003 16:46  
quote:
In data 2003-10-13 12:57, GionUein scrive:

il film è un esperienza "corale", ma spesso ci si ritrova a commentare ( criticare ) soltanto i meriti/demeriti del regista.

E' vero?
E' falso ?
E' ( sopratutto ) giusto ?





Come risponderti Gion?
Il discorso non può e non deve essere così generale; il mio discorso era improntato su un certo tipo di critica che non si limita a fare le recensioni su ciak, e che quindi si riduce a commentare, come dici tu, i meriti o i demeriti di un regista; quel tipo di approccio all'analisi di un film lo considero un tantino inutile, quasi al pari di un'opinione fatta al pubblico.
Il tipo di critica che mi è capitato di leggere deve nascere su attente e inconfutabili riflessioni, soprattutto sull'uso che si è fatto del mezzo cinematografico.
L'intento primario di Hitchcock era quello di creare un'atmosfera ricca di suspance, tale da manipolare le sensazioni del suo pubblico e il tutto attraverso l'uso dell'immagine, del ritmo con cui questa immagine veniva scandita sullo schermo e dalla combinazione visiva di determinate inquadrature, messe in relazione dal montaggio; direi che Hitchcock è riuscito perfettamente nel suo intento, e questo fa di lui un regista onesto e capace.
Qualunque critico che mettesse in dubbio questa capacità, sarebbe un critico incosciente o impreparato.
Un film è come una macchina della verità se vogliamo, sviscera le emozioni, il critico smonta il meccanismo e ci dice come e dove il film riesce a farlo.
E' anche vero (e questo lo dico per anticipare ogni inutile domanda che potrebbe nascere da questo punto), che ci sono film che provocano emozioni anche se il loro lavoro è unicamente dedito alla narrazione di una bella storia, una storia non indagata dall'immagine, ma unicamente rappresentata così come potrebbe essere comunicata da una voce narrante, in questo caso l'emozione trasmessa sarebbe di matrice differente e andrebbe a raggiungere la sensibilità da un altro tipo di percezione che non è quello occhio-psiche, ma quella unicamente psichica, la stessa stimolata dalla lettura di un libro o dal racconto ascoltato, ma che allora rende il prodotto, un prodotto che non può più essere definito cinema, poichè un film dovrebbe avere uno scopo diverso, dovrebbe essere una diversa forma di mezzo comunicativo, altrimenti, a che servirebbe?
Per questi motivi il "critico" di oggi che si accinge ad analizzare un film che esce nelle sale, non fa molta fatica a fare una recensione, poichcè il suo lavoro si riduce a dire se la storia o il tema affrontato sono originali e interessanti.
Io credo che un film debba saper arrivare la dove le parole non siano più in grado di comunicare.
E' bello no?
Cazzo se lo è!

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gmgregori

Reg.: 31 Dic 2002
Messaggi: 4790
Da: Milano (MI)
Inviato: 13-10-2003 16:54  
puo esser utile il pensiero di questo personaggio:

C'era una volta un giovane aspirante regista che decise di fare un film. E' una storia che si ripete fissa ed immutabile, nel senso positivo dei termini. Eppure, quasi a volere per forza connotare il lieto evento con un'appendice rischiosa - la perfezione non è di questo mondo - è necessario prima o poi confrontarsi con i critici, Scilla e Cariddi dei tapini cineasti in rotta verso Itaca.

Personalmente sono un neofita, ma la mia impressione è che purtroppo non conti molto l'aver fatto un film buono o cattivo. Ciò vale spesso per i grandi registi, sempre o quasi per autori agli inizi. Non esiste uno straccio di rapporto/contatto tra autori e critica. Spesso si parla di un film senza addirittura averlo visto (ed io stesso ho vissuto questa esperienza, in negativo, sulla pelle).
Il critico dovrebbe essere - vorrei che fosse - un vero e proprio contributo al processo produttivo in senso lato. Tramite un filo diretto con il regista, discutendo a tu per tu, spiegandosi le rispettive ragioni, con la convinzione di lavorare dalla stessa parte della barricata, anche se dialetticamente. Forse neanche io saprei indicare con precisione modi e gradi di questo coinvolgimento, ma certo si deve partire dalla conoscenza reciproca tra autori e critici, proprio con una frequentazione personale, non affidandosi esclusivamente alla mediazione immagini/carta stampata. E non solo in ovvii singoli casi, sempre guarda caso tra grandi firme e grandi maestri, altrimenti si continueranno a vedere brutti film di grandi autori, salvati da un critico (amico) solo grazie alla rinomanza del regista, quasi esistesse un diritto al "vitalizio da chiara fama".

Non voglio trovare, come potrebbe invece sembrare, un escamotage per salvare a cuor leggero tutti i film, specialmente i miei, grazie ad un patto di ferro tra autori e critica, ma solo fare in modo che quest'ultima sia un elemento costruttivo per il regista e il proprio processo creativo.
Troppo spesso il critico assume l'atteggiamento sciatto e semplicistico dello spettatore/pubblico, non avendo però di questi ultimi l'innocente ingenuità (e, lasciatemelo dire, il diritto acquisito dall'aver pagato per vedere il film!).
Insomma penso che il critico, in un'ideale scelta di campo, debba posizionarsi al di qua del film, perché al di là c'è, e ci deve essere, sempre solamente il pubblico.
Vorrei concludere citando la mia personale esperienza di regista, di un film del quale si è parlato, sentito e scritto moltissimo, prima ancora di essere stato distribuito nelle sale: il caso più eclatante degli ultimi anni di produzione indipendente. Tanto è vero che ad una proiezione di presentazione nella sala dell'ANICA, a Roma, non c'era letteralmente posto neanche sul pavimento, tante erano le persone intervenute (e non c'era un solo mio parente od amico). Mi è stato detto, dopo, che erano presenti diversi critici. Io non ne conoscevo, dunque non riconoscevo, ancora nessuno o quasi. Eppure sono stato presentato all'assemblea, prima della proiezione. Continuo ancora oggi a non conoscerne nessuno o quasi.

Probabilmente il film non sarà piaciuto a quei critici. Ma se invece tutta questa storia della mancanza di rapporto tra autori e critica, specialmente tra giovani autori sconosciuti e critica, fosse solo una questione di convenienza e di buona educazione?


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la bruttura del vuoto è tanto profonda fin quando, cadendo, non ti accorgi di poterti ripigliare. I ganci fanno male, portano ferite, ma correre e faticare per poi giorie è un obbiettivo per cui vale la pena soffrire.
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gmgregori

Reg.: 31 Dic 2002
Messaggi: 4790
Da: Milano (MI)
Inviato: 13-10-2003 17:05  
dimenticavo. fabio Rossi, regista!
In fin dei conti, forse siam meglio noi!
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mallory

Reg.: 18 Feb 2002
Messaggi: 6334
Da: Genova (GE)
Inviato: 13-10-2003 17:07  
Condivido ciò che hai riportato Gm, che poi è il tipo di approccio al cinema e alla deduzione che avevano i grandi critici dei Chaiers du Cinema come Truffaut, Godard, Rohmer, Chabrol e Rivette; ci sono testi importanti a rendercelo noto, come L'intervista fatta da Truffaut ad Hitchcock, vi consiglio di leggerlo.
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